A noi piacciono le storie e vorremmo rispondere proprio con le storie ai sostenitori aretini di Salvini, che anche sul nostro profilo Facebook (ma non solo!) ci spiegano come ormai sia l’unico uomo politico che difende gli italiani. Per noi, cari difensori del suddetto, è solo un razzista. E senza rancori, cerchiamo di spiegarvi perché il razzismo non è mai la soluzione. Semmai un altro problema.

John A. Segalla era un ricco costruttore dello stato del Connecticut. Italoamericano, di quelli che in un paio di generazioni, dal nulla, hanno fatto fortuna. Ricco, intraprendente, ma col marchio del peccato originale che gli scorreva nelle vene: l’origine italiana. Appassionato di golf, una mattina del 1990 gli viene l’idea di iscriversi a un circolo esclusivo. Ma c’è un problema, una “complicazione” che quando compila i moduli necessari risulta insormontabile: il suo cognome, Segalla. Gli italiani non sono ben accetti, neanche quelli di seconda generazione. Neanche quelli ricchi. Lui gira i tacchi, esce dalla porta, se ne torna a casa e inizia a lavorare su un’idea: nel 1993, dopo soli 3 anni, risponde al razzismo subito con un club del golf ancora più esclusivo.

Nulla di nuovo sotto il sole, il razzismo contro gli italiani è roba vecchia: Richard Nixon, Presidente degli Stati Uniti d’America, di ritorno dal suo primo viaggio ufficiale in Italia, ai giornalisti che lo aspettano a Washington D.C. dichiarerà: “Gli italiani si comportano in modo estremamente diverso dagli altri europei. E a pensarci bene hanno anche un odore diverso”. Erano gli anni ’70, c’era stato il boom economico, da alcuni anni eravamo a pieno titolo una potenza internazionale e soprattutto il medioevo era già finito da un pezzo.

Agli amici di Salvini & co. non vogliamo rivolgere il solito pippone su quando gli immigrati eravamo noi, ma vorremmo che ragionassero su dei dati e provassero ad utilizzare un po’ di empatia. Fonte Onu: “Chi lascia un paese più povero per uno più ricco vede in media un incremento pari a 15 volte del reddito; un raddoppio dei tassi d’iscrizione alle scuole e una diminuzione pari a 16 volte della mortalità infantile”. Crediamo che i dati si commentino da soli. Come si fa a pensare che un uomo di qualsiasi età, genere, credo, che ami la sua terra, ma ancor di più la vita, non cerchi comunque di superare il Mediterraneo, le forche caudine moderne, se dall’altra parte troverà tutto questo? Voi cosa fareste? 

Il 10 ottobre del 2007, ieri praticamente, il tribunale di Buckeburg ad un cameriere italiano riconosciuto colpevole di stupro, segregazione e violenza di gruppo verso la sua ragazza, ha ridotto la pena da 8 a 6 anni di carcere in considerazione della sua origine italiana. Nella sentenza di condanna, la riduzione di pena è stata giustificata così dal giudice tedesco: “Si deve tenere conto delle particolari impronte culturali ed etniche dell’imputato. E’ sardo. Il quadro del ruolo dell’uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante”. Sardegna, Italia, Europa, Mondo, Universo.

In Belgio, il Centre for Equal Opportunities and Opposition to Racism, si occupa anche dell’anti-italianismo, fenomeno dilagante in Europa; come del resto l’European Network Against Racism, organo dell’Unione Europea. In America si fa di meglio, esiste un’associazione ad hoc, l’AIDA, acronimo di American Italian Defamation Association.

A meno che qualcuno di noi si senta un problema, fonte di disagio e appartenente ad una ‘razza’ biologicamente ipodotata in quanto italiano, credo che la cosa dovrebbe farci riflettere su un punto: il razzismo, oggi come oggi, è un problema culturale. Null’altro di più. E’ l’effetto generato da problemi che influiscono nella sfera pubblica e privata della nostra vita? Che la risposta sia si o no, ok; ma parliamone serenamente, senza dare fiato al primo pensiero xenofobo che ci viene in mente.

L’immigrazione è una questione sostanziale, strutturale, sociale, una sfida sorta sulla base di meccanismi globali che si sono messi in moto e che oggi sono inarrestabili, caro Salvini. Cari nostri concittadini.  Un dato di fatto e in quanto tale con i suoi rischi e i suoi pericoli, da “giocare” seriamente, non con proclami rilanciati dalla pancia del popolo. Ma con la testa del popolo. A meno che non si voglia stare coi fucili spianati sul Mar Mediterraneo. Ma questa è un’altra storia, una storia che non vogliamo raccontare.

Detto questo, buona manifestazione.

ps: alcuni ci hanno accusato di essere stati poco rispettosi per l’immagine pubblicata ieri sera sulla nostra pagina Facebook, con Salvini che indossa una felpa su cui abbiamo scritto: “so’ n’goio”, avete ragione, su quella felpa avremmo dovuto metterci: “so’ pericoloso”.

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